lunedì 31 maggio 2010

9.460.800.000.000 km


Cronaca riassuntiva degli ultimi eventi rugbystici.
Il Benetton Treviso sconfigge MPS Viadana 16-12 e si laurea per la 15ima (ed ultima) volta campione d’Italia del Super 10. L’anno prossimo entrambe concorreranno nelle praterie celtiche alla ricerca di una più remunerativa professionistica internazionalità.
Intanto, per quest’anno, la Celtic League vede il successo degli Ospreys in finale contro il Leinster per 17-12.
I Tigers di Leicester conquistano la Guinness Premiership inglese battendo i London Saracens per 33-27. Bella storia per gli italiani Castro vs Aguero/Ongaro/Nieto anche se gli ultimi due non hanno partecipato attivamente alla festa.
In Francia, per il Top 14, il Clermont Auvergne, all’undicesimo tentativo, riesce finalmente a stringere tra le mani il Bouclier de Brennus vincendo il titolo nazionale francese contro il solido Usa Perpignan per 19-6.
Il Super 14, con una finale tutta sudafricana, ha visto laurearsi per la seconda volta consecutiva i Pretoria Bulls sugli Stormers di Città del Capo per 25-17.
La settimana scorsa, nella finale tutta francese di Heineken Cup, lo Stade Toulousain si è imposto sul sorprendente Biarritz Olympique 21-19 mentre nella finale di Amlin Challenge Cup a Marsiglia il Toulon perde contro i Cardiff Blues 21-28.
Dopo questa noiosa trafila di risultati, prendo atto del fatto che, ora e per almeno 3 mesi, il rugby che conta sarà solo legato al Tri Nation, per quanto nell’immediato, anche i test match di giugno susciteranno senz’altro un po’ del mio interesse.
Interesse che in questi giorni latita su tutti i fronti. Non mi capita spesso ma ultimamente mi annoio con niente. Ho una capacità di attenzione pari a 12 secondi. Riesco a mantenermi concentrato per un massimo di 5 minuti solo se i primi 4 sono stati impegnativi quanto l’ultimo episodio di Lost. Sono evanescente quanto uno spruzzo di Dove Sensitive e mi sto riempiendo di post-it ovunque anche per ricordarmi le cose più banali.
Riesco a sostenere in maniera continuativa un grado sufficiente di capacità ricettiva solo durante le puntate della Storia dell’Universo su History Channel e al racconto dei problemi esistenziali della vita degli altri davanti uno shootino di vodka alla frutta. Non è bene.
Proverò a prendere qualche pasticca di fosforo … ma ho l’impressione che dovrò inventarmi qualcosa. Intanto, giusto per restare in tema ‘noi e l’universo’, stelle, quasar, supernove, buchi neri, magnetar, pulsar, nane bianche che diventano nere, chi minkia siamo, da dove proveniamo, dove stiamo andando, insomma tutte quelle domande tipicamente senza risposta, ho rispolverato il mio vecchio cd dei PJ ,“Binaural”. Sì sì proprio il cd perché ormai mi sono ridotto ad ascoltare solo mp3. Ma per visualizzare il concetto che avevo in testa necessitavo proprio di toccare questa copertina patinata e tutte le foto interne che scivolano fuori come vecchi rinsecchiti post-it ... appunto. 
Così, giusto per mantenere la concentrazione anni luce distante da qui.   
“And wherever you've gone...and wherever we might go
It don't seem fair...you seemed to like it here
Your lights reflected now...reflected from afar
We were but stones...your light made us stars”
Light Years – Pearl Jam

lunedì 17 maggio 2010

It happens ...

Succede che, di ritorno da una piacevole scampagnata cittadina, approfitti di un tardo pomeriggio inoltrato che è quasi sera con la casa completamente a mia disposizione e la possibilità di stare in braghette e canottiera gustandomi pop corn – birra – rugby alla tv. Stravaccato placidamente sul divano, pioggia di briciole, i piedi nudi sul tavolino di cristallo, …  so già che qualcuno trovando le impronte mi rimprovererà ma so anche che è lo stesso.
Succede che un amico ti suoni alla porta mentre stai guardando il secondo tempo in differita della semi finale del Super 10 di rugby e che, woof! woof!, ti alzi dal sofà, apri il cancelletto e scendi all’entrata. Ehi ciao come va, dai entra, no resto fuori vedi che sono in bici e tanto devo andare volevo solo salutarti come stai, va tutto bene comunque ho le birre fresche dai sali, no no guarda come l’avessi bevuta dai ci vediamo martedì con le femmine ok, ok, ciao, ciao.
Succede che risalgo le scale. 
Succede che ricordo di aver aperto con la chiave.
Succede che avverti la sensazione di qualcosa di sbagliato come una spada di Damocle immaginaria che volteggia pericolosa dietro la nuca.
Succede che, solo in quel preciso istante, ricordi di averle lasciate all’interno, sulla toppa.
Succede che il vento chiude quello che è rimasto aperto.
Succede che, le finestre, aperte non sono. Ad esclusione di quella là. A qualche metro di altezza, a due piani di distanza da terra. Nessuna scala telescopica ci arriverà mai. E anche salire dal terrazzo, nonostante l’acrobatica prodezza non mi sia nuova, beh non servirebbe a nulla perché è tutto chiuso.
Succede che busso alla signora di sotto. Sì grazie mi fai telefonare, si certo, grazie. Sì sono qui fuori in canottiera e crocs, senza alcuna possibilità di entrare, sì si hai capito sono chiuso fuori non lo so se con le tue chiavi si riesce ad entrare perché non ho mai provato ad aprire con le chiavi nella serratura dall’altra parte. Il resto della telefonata non è riportabile.
Succede che, dopo venti minuti, arriva lei e le sue chiavi e non si apre un cazzo.
Succede che lei decide di chiamare i pompieri.
Succede che dopo mezzora arrivano 6 aitanti pompieri, capo muta compreso. Salgono le scale e, usando non so che cosa, nel giro di un paio di minuti aprono la porta e mi guardano come fossi un homo diversamente sapiens. Forse per la macchia sulla canottiera. Prendono i dati …mi arriverà da pagare per l’intervento ma nulla potrà rimborsare quello che ho perso in autostima. Una donna che vive con me mi guarda come fossi uno di passaggio. Uno di quelli che raccogli per pietà e che nutri per carità cristiana. Uno che è lì solo perché ti paga l’affitto della stanza in più. Così non dico nulla e senza alzare la testa vado a farmi una doccia.
Succede che poi la donna di prima mi porta un the verde caldo con 6 bucaneve. Un po’ mi sorride e un po’ mi compatisce. Però alla fine dice che è stata una bella cosa. Era da un po’ che non vedeva tanti bei maschietti in un sol colpo.
Succede che quando rinascerò, nel caso in cui tutti i posti da idraulico siano già tutti occupati, farò domanda per fare il pompiere. O la chiave nella toppa.   

mercoledì 12 maggio 2010

EuroTitani dai piedi d'argilla


  Dunque ... vediamo ... c’è questo bimbo che spunta dalle acque dell’Egeo (credo) dentro una cassa di legno intarsiato tra le braccia della mamma Danae ahinoi defunta. E’ vivo e vegeto ma è anche il frutto proibito di un corno. Già. Per tutti gli dei! Babbo suo è Zeus. Questi, che ama divertirsi con le comuni mortali, ha pensato bene, assumendo le sembianze del marito Acrisio, di fare avanti ed indietro con la donna. Quando, ad un certo punto, come nella migliore delle soap, ecco che il vero Acrisio becca i due in fallo e anche a letto. La bella Danae si rende improvvisamente conto di essere stata truffata, colta e anche soggiogata con perfida destrezza. Purtroppo per lei, al tempo, non c’erano mezze misure. Il marito la ripudia come fedifraga secondo l’antica usanza e la getta in mare con il pargolo, dentro una bara. Zeus dall’alto dei cieli, disturbato dal trattamento riservato alla sua concubina e al frutto del loro amore, s’incacchia con Acrisio o meglio lo fulmina e il cornuto si trasforma nel bruciacchiato Calibos. Perdiana … cioè per Diana, questo sì che è un incipit divino.
Nella realtà della mitologia greca la fintamente adultera Danae è figlia di Acrisio non la moglie ma la licenza poetica è d’obbligo in questi blockbuster. Il bimbo sopravvissuto viene quindi adottato dalla famiglia di umili pescatori che lo ha raccolto in mare. C’è da dire che al tempo, per dei o semi-dei, i potenziali genitori adottivi-putativi disponibili erano in alternativa falegnami o pescatori. E’ lampante, e trattandosi del figlio di Zeus lo è ancor di più, che il bimbo era predestinato ad un futuro raggiante. Ora, per quanto riguarda il nome … dunque Gesù è già stato prenotato, Silvio è di là da venire :P, rimangono Perseo o Paco. Si scelse il primo perché il secondo era troppo da ciuffo ribelle emiliano pettinato con slancio all’indietro. Passano una ventina d’anni. Il pupo cresce sulla barca di famiglia. Cresce a tal punto che viene da pensare che sottocoperta ci sia una filiale della Fitness First. Anyway, raggiunta la maturità artistica, il povero Persy si ritrova di colpo orfano. Gli uomini della città di Argo (ed io che associavo il nome solo al cane di Ulisse o.O) si erano un po’ rotti di adorare gli dei dell’Olimpo e perciò avevano deciso di abbattere l’enorme statua di Zeus (modello colosso di Rodi per intenderci) alle porte della città. La decisione viene presa mentre casualmente lì sotto Perseo & family stanno navigando con la loro barchetta. L’incauto gesto scatena la vendetta di Ade, fratello di saetta Zeus, costretto causa fraterno inganno e da tempo immemore, a vivere negli inferi eterni. La sua ira distrugge tutto ciò che trova, coinvolgendo, ahinoi, la sventurata imbarcazione dei pescatori che cola a picco tra le braccia di Poseidone. Il povero Perseo pur tentando di salvare i suoi congiunti, si ritrova da solo, unico superstite, solo come un argo nella città di Argo. Gli argevi hanno un re, Cefeo, ed una regina, Cassiopea, che si sollazzano dalla mattina alla sera fregandosene degli Dei. Già, a proposito dell’Olimpo. Costoro vivono in una specie di teatro all’aperto modello liberty indossando vesti oro-argentate sullo stile degli Abba di Dancing Queen. L’atmosfera generale è quella della dimora di ghiaccio di Superman 2.
Comunque, tornando alla storia, la coppia reale ha una figlia stragnocca di nome Andromeda. Una stellina proprio. Giudicata addirittura più bella della dea Aphrodite (ed io che associavo il nome Aphrodite, di cognome A, al robot donna di Mazinger Z, quella che sparava i tetta-missili o.O). Ne prendo atto.
Intanto il mefistofelico Ade si allea con il torrefatto Calibos che è in cerca di vendetta contro Zeus. Perseo trova nel frattempo la sua fata turchina, l’immortale Io, e se ne innamora. Questa faccenda mi ha rassicurato parecchio sulla necessità di mantenere una certa fiducia nel proprio ego e ho deciso che mi farò un tatuaggio con scritto: “Io amo Io”.
La situazione in Grecia è drammatica: Ade annuncia che distruggerà la città di Argo se entro 10 giorni non verrà offerta in sacrificio agli dei la bella e anche buona Andromeda. Se ciò non avverrà, Ade scatenerà la peggiore delle creature marine, il mostro dei mostri, il Kraken. La prospettiva non è delle migliori. Anche perché è subito chiaro che il cattivo, Ade, vuole anche vendicarsi del fratello Zeus e prendersi il trono dell’Olimpo. Chiaro è che non c’è niente di buono all’orizzonte per il semi-dio Perseo. Buttato giù al volo un business-plan sulle possibili alternative al sacrificio della donzella, appare lapalissiana un’unica possibilità: occorre capire come sconfiggere il Kraken Buitoni. E la risposta a questa domanda può essere fornita solo dalle streghe dello Stige. Ahh! Come abbiamo fatto a non pensarci subito!
Perseo, a capo di uno sparuto gruppo di soldati e di Io, parte alla volta dello Stige. Nel durante riceve in dono una spada divina che funziona solo con lui e Pegaso, un magnifico cavallo alato nero. Il film comincia ad assumere i connotati dell’oroscopo internazionale di Brezsny. Messi sotto attacco da Calibos, potenziato da Ade, i nostri si ritrovano a dover combattere contro scorpioni enormi, via via sempre più grandi, all’apparenza invincibili e che prendono vita dal sangue corvino di Calibos. Tuttavia, grazie al provvidenziale aiuto degli spiriti del deserto, da sempre considerati nemici, il manipolo di temerari riesce in qualche modo ad uccidere e a domare i megaracnidi. Gli spiriti Djinn che parlano come se avessero un etto di ghiaia in bocca, alleati nella lotta contro il comune nemico Ade, hanno il viso fatto di cortecce d’albero e uno sguardo di fuoco azzurro. Non è che propriamente stimolino questa gran simpatia ma risultano altresì piuttosto utili con i loro poteri mentali. Rimandato al prossimo ciak lo scontro con il neo-monco Calibos, il viaggio verso le Arpie continua. Finalmente si trovano di fronte ‘ste benedette streghe che sono veramente terrificanti. Non è che dispensino consigli gratis e siano bendisposte con gli ospiti appena giunti: forse soffrono un po’ di solitudine. La loro intenzione è quella di banchettare con uno dei soldati ma il buon Perseo sa il fatto suo e alla fine ottiene l’informazione che gli serve. Per sconfiggere il Kraken occorre pietrificarlo con lo sguardo della Medusa. La signorina abita in un castello o qualcosa di simile al di là del fiume infernale dello Stige. Non propriamente un luogo di villeggiatura. Lasciate perciò al loro destino le tre vecchiacce, i nostri s’incamminano alla volta della donna con i capelli di serpenti. Perseo, grazie alla paghetta settimanale di babbo Zeus necessaria per compensare il traghettatore, riesce ad attraversare lo Stige accompagnato dal sempreverde Caronte appunto (e pensare che io l’ho sempre stupidamente collocato, come personaggio, in un romanzetto italiano uno e trino del Trecento o.O).
Il gruppo, che nel frattempo tra battaglie varie e defezioni dell’ultima ora è rimasto piuttosto sparuto, arriva finalmente alla dimora della simpatica Medusa (ed io, non vorrei dire ma, appartiene pure lei al Silvio che è di là da venire … o.O). La gorgone rettilata ha una sguardo pietrificante: l’idea non è tanto convincere la signorina a combattere il mostro di Ade quanto mozzarle la testa ed usarla come arma vera e propria. Qui si parte dall’assunto che il Kraken sia un maschio. Tutti lo danno per scontato ed io la sotto non vado certo a controllare, però è bene precisare che nella mia testa e solo nella mia, la medusiana occhiata assassina funzionava solo sugli uomini. Ora stabilito che questa informazione (lo sguardo della medusa uccide chiunque, non solo i maschietti) è la cosa più importante che ho imparato dalla visione del film, viene da chiedersi se valga ancora la pena continuare e togliermi finalmente questi occhiali da nerd, stretti peraltro, dal naso. Vabbè. Si scatena la furia assassina della femmina cobrata che in men che non si dica fa praticamente piazza pulita dei soldati finché il Perseo, e chi altri, utilizzando come aiuto il retro lucido del suo scudo corazzato di scorpione, riesce a mozzare la testa di Medusa. Con in saccoccia la capoccia che uccide, mentre si sta preparando a fare ritorno ad Argo insieme all’unica altra superstite, Io, rispunta dal nulla il redivivo Calibos che nuovamente si scaglia contro di lui. A farne le spese è la dolce Io che ne rimane vittima: questo scatena a tal punto il furore di Perseo che per la prima volta utilizza la spada “magica” donatagli da Zeus e sconfigge Acrisio, guarda te. A questo punto affranto nel cuore ma colmo d’ira furibonda, l’eroe parte a cavallo di Pegaso e letteralmente vola a salvare Argo.
La città è ormai in preda al caos totale. In balia di una folla delirante, la bionda Andromeda viene legata e sospesa per aria pronta per essere sacrificata al Kraken che sta per uscire fuori dagli inferi marini. Il potere di Ade, alimentato dalla paura degli uomini, è ormai smisurato. Il Kraken scatena tutta la sua potenza distruttiva devastando la città mentre un esercito di mostri con ali di pipistrello semina il terrore. La testa di Medusa viene sottratta a Perseo che non sa più che pesci pigliare nonostante la sua esperienza ventennale da pescatore. Ciò nonostante, grazie al aiuto dei suoi amici Djinn, riesce a riprendersi la sua arma di distruzione di Kraken e ad usarla con successo contro il mostro. Pietrificato da tanto ardore e tolto di mezzo l’enorme cattivone tentacolato, a Perseo non rimane che sbarazzarsi di Ade. C’è qualcosa di meglio della sua spada magica, forgiata da Zeus nell'Olimpo, il dio degli dei, da scagliare contro il padrone degli inferi? Certo che no! Bye bye Ade, torna nelle tue profondità. Ora non rimane che confezionare un happy end degno di nota. Ed è qui che Zeus dà il suo meglio ridando vita, per la gioia del figlio Perseo, alla sua amata Io. 
The End.
Dunque, mi sono chiesto più volte durante questa mezz’oretta spesa a raccontare questa mega puttanata di film del motivo che mi ha spinto a raccontarne la storia. Storia peraltro piuttosto nota per quanto molto rimaneggiata. Sinceramente, Io (Io, Io, non la ragazza di Perseo) avevo solo deciso di dare, nel mio piccolo, un contributo alle finanze greche, un modo semplice per far aumentare il PIL della Grecia. Non avevo veramente alcun altro motivo per farmi trascinare in questo casino di mastodontica tridimensionalità. Ora sono certo che per ogni biglietto staccato ci siano delle royalties da versare ai conti pubblici del Hellas :D , vero? I diritti d’autore sui dei dell’Olimpo sono ancora a favore degli eredi di Erodoto, Aristotele, Omero, Platone e via filosofeggiando …dai … non può che essere così. E' certamente così.

martedì 11 maggio 2010

Grün

 Domenica è finito il campionato. Vinta l’ultima partita. E chiuso al terzo posto. Non particolarmente contenti della stagione: l’intenzione era di arrivare primi perché ne avevamo i mezzi ma è andata diversamente. Sul campo abbiamo superato le due squadre che hanno concluso sopra di noi ma evidentemente non siamo riusciti a mantenere la testa (il primo “muscolo” e il più importante da usare nel rugby .. e non solo) abbastanza concentrata con i team sulla carta meno sfidanti. E giustamente siamo stati puniti. Consola il fatto che il gruppo è decisamente progredito. Una bella amalgama di brutte persone. E’ sempre un piacere trovarsi. E forse, visto come si stavano mettendo le cose l’anno scorso, il principale obbiettivo è stato raggiunto. L’anno prossimo è un’incognita. Non si sa minimamente come si svilupperà il nostro percorso ma è inutile fasciarsi la testa ora. Se sarà destino cadremo. Dopo ci fasceremo la testa. Chissà che non impari a rimanere concentrata.
Dopo il terzo tempo (sto ancora ruttando un salame delizioso del Miki) siamo partiti armi e bagagli verso la Guizza a Padova per i play-off del CUS contro il Badia. Purtroppo non è andata bene. Per la verità sono stato dieci minuti buoni a guardare il campo anziché la partita. Mai visto tanto verde in un campo di rugby. Ero estasiato. Mi sentivo molto Conan il ragazzo del futuro alla vista dell’”Isola perduta”. Comunque, anche se per poco, meno di un calcio piazzato, il CUS rimane nella stessa categoria. Il campo così verde ha dato il suo verdetto, appunto. Il ritorno è stato meno spumeggiante. E’ proprio vero che le aspettative sono interessanti perché gravide di sensazioni. Quando però le attese non sono soddisfatte, si rimane con la certezza sterile del risultato. Positivo o negativo che sia, è pur sempre uno stop-si-riparte. Certo ... quando va bene che minkia me ne frega. Si festeggia e via. Quando va male …. In questo caso è bene dire che, eccerto! è solo sport. Meglio mantenere le proprie forze e gli impeti di ripartenza per le vere “tragedie” della vita.
Approposito di tragedie. Sono diventato pistacchio-dipendente. Nelle ultime due settimane ne ho mangiati 3 kg. Non riesco a sedermi davanti alla Tv o ad andare al cinema se non ne ho una ciotola o una sacchetto di plastica non rumorosa a portata di mano. Ho le unghie tutte sbeccate (non che normalmente siano così perfette) a causa dei gusci semi-aperti che non sempre si schiudono facilmente. Tutto questo sgranocchiamento (ps: pistacchi deriva dall'onomatopeico pis-tak, cioè il rumore che produce quando matura .... mah!) ha provocato degli evidenti effetti collaterali. Alcuni positivi. Altri negativi. Come il risultato di un’attesa. Mi dico che devo smettere. Sto cercando di uscire da questo tunnel verde. Ai drogati si prescrive il metadone come palliativo di una cura che non esiste se non nella nostra volontà. Il mio metadone non è distribuito dal Sert ma dalla gelateria del corso. Gelato al pistacchio di Bronte. A me non sembra una buona idea. Soprattutto perché credo abbia solo una parte di effetti collaterali. Quelli negativi. Vabbè, as usual, stop-si-riparte.

“… I know life is hard...hard (where goes your time?)
Where to turn? Where to turn?Dreams they complicate my life (Dreams they complement my life)…”
'Get up' – tratto da 'Green' (of course) - R.E.M.

mercoledì 5 maggio 2010

No Surprises






Credo che la capacità di uscire fuori da se stessi sia una dote invidiabile. Possedere la facoltà di vedersi, senza pre-giudizi, interni ed esterni che siano, privi della consapevolezza dell’essere visti e sciolti dalle briglie dell’essere se stessi, è una dote che qualifica positivamente a prescindere proprio dal chi si è.
E’ nell’ordine delle cose che nel corso della vita accada di non essere pienamente se stessi. Non è solo una questione di perdere momentaneamente la trebisonda. E’ una sorta di schizofrenico deviare dalla rotta, un improvviso zigzagare avanti, indietro e di lato in un altroquando indefinibile … Poi, in qualche modo, il vortice 'finalmente' scompare … solitamente dopo aver sbattuto la testa contro qualcosa. So che è una faccenda ben più complicata e, in effetti, non sono in grado di spiegarla. Tuttavia, impropriamente l’avverto e di getto l’espongo. Non ho mai maneggiato questo tipo di sapere. Cerco solo vanamente di organizzare lo sciabordio di “intuizioni” confuse che spumeggiano sulle rive del mio encefalo. Sono così approdato alla disarmante conclusione che il miglior modo per essere se stessi è di non esserlo. In qualche modo e per una ragione oscura, come la parte che sta dall’altro lato della luna, ci si vede in una certa maniera. Non è che a monte ci sia un progetto del sé e del proprio realizzarsi. Magari esiste, all’ombra dell’ultimo recondito recesso del cranio, una magmatica bozza primordiale, un modello di riferimento ancestrale che manco si potrebbe descrivere tanto è impalpabile e inavvertibile. Eppure c’è, un contorno di sé, da qualche parte, che fluttua nell’aria come un papiro nel tempio. Un perimetro tratteggiato (stile il settimana-enigmistica-unisci-i-puntini senza i puntini) che rimane tale fino a quando qualcuno ci adagerà orizzontalmente in una cassa.
In un recente film di grande successo dal titolo “Avatar” (non è che mi abbia particolarmente colpito se non dal punto di vista tecnico e scenografico) il popolo Na’vi si saluta con la frase “Io ti vedo”. Con questa suggestiva espressione, per quello che ho afferrato nel contesto mentre, indossando i miei occhialini 3D, scansavo bestie imbizzarrite con 6 zampe e fronde di salici piangenti al neon fluorescente, dicevo, non si intende riscontrare la sola presenza fisica dell’altro ma si vuole anche stabilire un legame di affetto, di amicizia e prima ancora di rispetto. Con il “Io ti vedo” si manifesta la volontà di essere in armonia con chi ti sta di fronte e allo stesso tempo di accettarlo per quello che è. Insomma il tutto non si riduce ad una questione fisico-tattile: è proprio un modo di essere percepiti. E’ un bel concetto quello dell’essere riconosciuti e del riconoscere anche se questo significa tracciare confini, pertinenze e divisioni. Ma forse l’unico modo per afferrarsi è evidenziare le differenze, portare a galla le particolarità e astrarsi dal melting-pot esistenziale il tempo necessario per vedere almeno lo spettro di sé prima di rituffarsi beatamente dentro il flusso.
Tutto questo per dire che forse è un bella perdita di tempo inseguire il disegno figurato che ci si è costruiti (magari senza rendersene conto) accumulando esperienze e classificandole a suon di facebookiani “mi piace - non mi piace’. Insomma ... non c’è nulla di così indefinito come l’essere se stessi. Ci si deve limitare a seguire il proprio istinto razionale nell’erronea perfetta esistenza che abbiamo in dono.
Mah …Temo sia stata una bella stronzata ritornare dopo mesi sul blog e cominciare subito a filosofeggiare alla c@zzo.
Il tutto è partito perché non è bene discutere di primo mattino con il sapore del caffè che aromatizza le pareti del palato mentre si sente senza ascoltare la lista delle proprie manchevolezze nell’economia domestica familiare. C’è un’anta dell’armadio che recrimina un mio intervento da due mesi. 4 buchi che attendono il loro destino ovvero quello di essere svulvati da 4 fisher in acciaio che porteranno il peso delle doppie tende, con del macramé non so dove, acquistate 4 dico 4 mesi fa. Per non parlare dell’angolo giorno in terrazza della Sissy da ritinteggiare. E il lampadario della cucina che , non ho ancora capito esattamente il motivo, ha smesso di essere ok con il resto dell’arredamento. E, approposito, quando ti decidi di installare un lavabo in garage così non mi arriva in casa quella borsa piena di roba infangata e puzzolente ogni altro giorno?
Voglio dire: si fa presto a parlare di essere se stessi … poi ti scontri con la realtà dell’oggi, di ora anzi, prima ancora di adesso. Ma, nella quiete di uno sguardo assonnato che travalica il barattolo aperto della marmellata e che perentorio balza al di là della ricetta della cheese-cake sulla scatola dei cereali, si rinnova la promessa di un “subitaneo” intervento pianificato nei prossimi giorni. Così … rassicurato l’investitore principale che l’azienda familiare gode ancora della fiducia dei mercati e di ottima salute, capisco che essere se stessi è imprescindibile dall’essere o meno un pezzo anche di tutti gli altri che nel bene e nel male incrociamo vivendo. Così dopo il dolce diverbio mattutino e il pensiero folle della vacuità di ogni certezza, l'aggiornamento automatico dello screensaver ha pescato nel maremagnum del c:\My Documents\My Pictures un mio vecchio commento ad una song dei Radiohead su YouTube che è un po’ rappresentativo del ‘being me’. In qualche modo, molto tempo fa, ho scelto che una gran parte del mio essere me stesso passasse anche da lei. Almeno per ora. A meno di sorprese :)