mercoledì 5 maggio 2010

No Surprises






Credo che la capacità di uscire fuori da se stessi sia una dote invidiabile. Possedere la facoltà di vedersi, senza pre-giudizi, interni ed esterni che siano, privi della consapevolezza dell’essere visti e sciolti dalle briglie dell’essere se stessi, è una dote che qualifica positivamente a prescindere proprio dal chi si è.
E’ nell’ordine delle cose che nel corso della vita accada di non essere pienamente se stessi. Non è solo una questione di perdere momentaneamente la trebisonda. E’ una sorta di schizofrenico deviare dalla rotta, un improvviso zigzagare avanti, indietro e di lato in un altroquando indefinibile … Poi, in qualche modo, il vortice 'finalmente' scompare … solitamente dopo aver sbattuto la testa contro qualcosa. So che è una faccenda ben più complicata e, in effetti, non sono in grado di spiegarla. Tuttavia, impropriamente l’avverto e di getto l’espongo. Non ho mai maneggiato questo tipo di sapere. Cerco solo vanamente di organizzare lo sciabordio di “intuizioni” confuse che spumeggiano sulle rive del mio encefalo. Sono così approdato alla disarmante conclusione che il miglior modo per essere se stessi è di non esserlo. In qualche modo e per una ragione oscura, come la parte che sta dall’altro lato della luna, ci si vede in una certa maniera. Non è che a monte ci sia un progetto del sé e del proprio realizzarsi. Magari esiste, all’ombra dell’ultimo recondito recesso del cranio, una magmatica bozza primordiale, un modello di riferimento ancestrale che manco si potrebbe descrivere tanto è impalpabile e inavvertibile. Eppure c’è, un contorno di sé, da qualche parte, che fluttua nell’aria come un papiro nel tempio. Un perimetro tratteggiato (stile il settimana-enigmistica-unisci-i-puntini senza i puntini) che rimane tale fino a quando qualcuno ci adagerà orizzontalmente in una cassa.
In un recente film di grande successo dal titolo “Avatar” (non è che mi abbia particolarmente colpito se non dal punto di vista tecnico e scenografico) il popolo Na’vi si saluta con la frase “Io ti vedo”. Con questa suggestiva espressione, per quello che ho afferrato nel contesto mentre, indossando i miei occhialini 3D, scansavo bestie imbizzarrite con 6 zampe e fronde di salici piangenti al neon fluorescente, dicevo, non si intende riscontrare la sola presenza fisica dell’altro ma si vuole anche stabilire un legame di affetto, di amicizia e prima ancora di rispetto. Con il “Io ti vedo” si manifesta la volontà di essere in armonia con chi ti sta di fronte e allo stesso tempo di accettarlo per quello che è. Insomma il tutto non si riduce ad una questione fisico-tattile: è proprio un modo di essere percepiti. E’ un bel concetto quello dell’essere riconosciuti e del riconoscere anche se questo significa tracciare confini, pertinenze e divisioni. Ma forse l’unico modo per afferrarsi è evidenziare le differenze, portare a galla le particolarità e astrarsi dal melting-pot esistenziale il tempo necessario per vedere almeno lo spettro di sé prima di rituffarsi beatamente dentro il flusso.
Tutto questo per dire che forse è un bella perdita di tempo inseguire il disegno figurato che ci si è costruiti (magari senza rendersene conto) accumulando esperienze e classificandole a suon di facebookiani “mi piace - non mi piace’. Insomma ... non c’è nulla di così indefinito come l’essere se stessi. Ci si deve limitare a seguire il proprio istinto razionale nell’erronea perfetta esistenza che abbiamo in dono.
Mah …Temo sia stata una bella stronzata ritornare dopo mesi sul blog e cominciare subito a filosofeggiare alla c@zzo.
Il tutto è partito perché non è bene discutere di primo mattino con il sapore del caffè che aromatizza le pareti del palato mentre si sente senza ascoltare la lista delle proprie manchevolezze nell’economia domestica familiare. C’è un’anta dell’armadio che recrimina un mio intervento da due mesi. 4 buchi che attendono il loro destino ovvero quello di essere svulvati da 4 fisher in acciaio che porteranno il peso delle doppie tende, con del macramé non so dove, acquistate 4 dico 4 mesi fa. Per non parlare dell’angolo giorno in terrazza della Sissy da ritinteggiare. E il lampadario della cucina che , non ho ancora capito esattamente il motivo, ha smesso di essere ok con il resto dell’arredamento. E, approposito, quando ti decidi di installare un lavabo in garage così non mi arriva in casa quella borsa piena di roba infangata e puzzolente ogni altro giorno?
Voglio dire: si fa presto a parlare di essere se stessi … poi ti scontri con la realtà dell’oggi, di ora anzi, prima ancora di adesso. Ma, nella quiete di uno sguardo assonnato che travalica il barattolo aperto della marmellata e che perentorio balza al di là della ricetta della cheese-cake sulla scatola dei cereali, si rinnova la promessa di un “subitaneo” intervento pianificato nei prossimi giorni. Così … rassicurato l’investitore principale che l’azienda familiare gode ancora della fiducia dei mercati e di ottima salute, capisco che essere se stessi è imprescindibile dall’essere o meno un pezzo anche di tutti gli altri che nel bene e nel male incrociamo vivendo. Così dopo il dolce diverbio mattutino e il pensiero folle della vacuità di ogni certezza, l'aggiornamento automatico dello screensaver ha pescato nel maremagnum del c:\My Documents\My Pictures un mio vecchio commento ad una song dei Radiohead su YouTube che è un po’ rappresentativo del ‘being me’. In qualche modo, molto tempo fa, ho scelto che una gran parte del mio essere me stesso passasse anche da lei. Almeno per ora. A meno di sorprese :)

5 commenti:

antonio lillo ha detto...

non so se c'entri nulla però sai ierisera stavo parlando con una ragazza che fa il clown negli ospedali e lei mi diceva la stessa cosa in merito all'essere se stessi non essendolo. "non mi sento mai così me stessa, diceva, come quando mi metto il cerone e il naso rosso". immagino sia una questione di barriere. il bello è che non si tratta di abbatterle. ma di saltarle, per cui le superi ma sai sempre e cmq che sono lì a pochi metri. deve essere una cosa che ti mette addosso una certa sicurezza ma anche un senso di libertà senza pari...

quanto alla mugghjera (come si dice da noi) sei un romanticone, oppure sei molto furbo e tutto questo post e un'escamotage costruito ad hoc per farti perdonare le tue inadempienze domestiche ;)

ma felice di rileggerti max. davvero :)

Slivovilla ha detto...

wow
è una bellissima frase quella conclusiva
dato che mi ha subito fatto pensate alla mia dolcemetà mi sa che sono anche io una romanticona >.<

:-)

Max_am ha detto...

Obbiettivamente, mio malgrado, sono un po' romanticone. Però, giusto un pizzico, eh ... un paio di volte all'anno e mai mai mai nelle scadenze canoniche tipo comple, Xmas ... perchè sono anche un po' (poco) furbo. Poi è bene sapere che a dispetto del titolo del post, sorprendere è la ricetta per sopravvivere felicemente al matrimonio. ;)

narsiqian ha detto...

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