mercoledì 24 giugno 2009

My elderly GrandPa said to my young Father that ...

In fondo c’è sempre da imparare dalle persone.
Anche dalle più sgradevoli.
Queste ultime, ad esempio, mi hanno insegnato a capire chi non voglio essere. Che è già tantissimo. Perché è proprio difficile capire ciò che si è. Passati anche i 40.
Ancora di più ciò che si sarà. Passati anche i 40.
Nel mezzo ci si arrabatta tra la spinta ad essere quello che ci si crede di essere, quello che si vuole essere che è un tendenziale infinito .. una specie di chimera, e tutto le altre 1000 deviazioni che è giusto fare perché ogni lasciata è persa.
Non ho conosciuto mio nonno paterno. Era un agricoltore che lavorava la propria terra. Credo che fosse un tipo piuttosto rude e poco incline al discernimento. Una mente semplice suppongo. E’ morto 11 anni prima che io nascessi. Avevo intorno ai 10 anni more or less quando mio padre mi raccontò, in una delle rare occasioni in cui parlavamo, una sua storiella che ora non ricordo bene. Non era una favola, se non per il fatto che non era vera: credo si potesse considerare una specie di pretesto romanzato, travestito da vicenda familiare, per poter arrivare ad un insegnamento etico. Quello che nella Bibbia, nei Vangeli per essere più precisi, chiamano parabole.
Ecco io ricordo solo la fine. Ovvero ho dimenticato il mezzo che avrebbe dovuto farmela ricordare.
Nonno raccontava a babbo che il valore di un uomo lo si misura dalla camicia che si toglie la sera. Se è bella sporca e sudata, pregna di tutte le esperienze che la giornata gli ha donato, significa che chi l’ha indossata ha cercato di dare un senso al suo vivere e che molto probabilmente questo lo renderà una persona di valore. E si addormenterà , anche se sconfitto dagli eventi, con la pace dei giusti nel cuore.
Se invece, quella stessa camicia, alla fine della giornata la puoi ripiegare tranquillamente perché profuma di bucato, ha ancora il colletto intonso ed inamidato … beh con ogni probabilità la vita ti scorre vicina ma non ti tocca. Forse te stesso per primo non dai valore a ciò che sei e di conseguenza non lo puoi dare agli altri.
Sicuramente in un ambiente contadino tutto questo ha un senso più immediato perchè è assolutamente reale e tangibile. Penso tuttavia che lo possa avere in qualsiasi contesto. Anche se si lavora in ufficio con l’aria condizionata o, come stamattina, si sta iniziando la maturità.
Anzi, a dirla tutta, trovo che sia una metafora che si addice benissimo anche al mio amato gioco del rugby. Quando il capitano consegna la maglietta, prima della partita, ci si guarda negli occhi. Mai tenere la testa bassa. Ci si stringe forte la mano in modo tale che sbianchi, che un po’ di dolore ti rimanga appresso e ti faccia provare, anche qualche istante dopo, che c’è stata una stretta vigorosa. Uno scambio di forza reciproco, un trasferimento a doppio senso fatto di volontà e di impegno. Una sorta di: Io ci sono, tu ci sei, tutti insieme siamo. Poi, mentre stai per uscire, il salto-spalla-spalla alla gorilla nella nebbia per dare e per ricevere coraggio. Hai una maglietta che ti concede un’opportunità. Una possibilità che nella vita hai generalmente tutti i santi giorni. Quando la restituirai, lanciandola dentro il cestone con le altre, molto probabilmente sarà molto pesante, sporca e sudata come è giusto che sia. Magari non avrai fatto le scelte migliori. Probabilmente avrai fatto degli errori. Come tutti. Può darsi addirittura che per una serie di ragioni tu non sia nemmeno entrato in campo ... che tu sia rimasto a bordo vita a scaldarti senza mai poterti confrontare con l’avversità del giorno, sostenendo chi le sta affrontando anche per te. Ma è quello che lasci su quella maglietta che ti qualifica. Che tu abbia agito male o bene. In fondo potrai essere stato anche sgradevole. Ed è meglio sperare che chi davvero ti vuole bene, che sia partner, amico o compagno di squadra, te lo faccia sempre presente.
Ecco, mi auguro di non ridurmi ad indossare oggi la stessa camicia che portavo ieri perché sembra pulita. Spero che stasera sia sporca lorda, logora e strappata al punto tale che l’unico dubbio che vorrei avere sia quello di gettarla dentro nel cestone o nel cestino. Magari sorridendo.

1 commento:

dtdc ha detto...

gran bel post. Complimenti per la sensibilità con cui scrivi. Bella la parabola della camicia. Anch'io ogni sera appallottolo la camicia e prima di metterla in lavatrice l'annuso. Non mi sono mai chiesto il perchè e ti ringrazio perchè il tuo post m'illumina. Non per capire quanto puzzi ma per salutare una giornata di lavoro trascorsa. Ed è da parecchi anni che non metto mai una camicia per 2giorni consecutivi. A presto!!
Bruno